Il 24 luglio la diaspora curda si è riunita a Ginevra, in place de Navigation, per la prima tappa di una marcia di due giorni, allo scopo di ricordare una triste ricorrenza: il 97° anniversario del Trattato di Losanna. Con il senno di poi, una pietra tombale sull’autodeterminazione di questo popolo perseguitato e sottoposto alla quadruplice colonizzazione di Turchia, Iran, Iraq e Siria.
In particolare, i manifestanti volevano denunciare le campagne di assimilazione forzata – e talora di vero e proprio genocidio – a cui da allora sono state periodicamente sottoposte le popolazioni curde.
Al loro fianco, la presenza solidale di vari gruppi della sinistra svizzera che protestavano contro gli attacchi della Turchia ai curdi nel nord della Siria e nel nord dell’Irak. Dopo un minuto di silenzio in memoria delle vittime di tali operazioni (sia dei civili inermi sia dei combattenti per la libertà), un folto corteo aveva percorso le strade ginevrine preceduto da uno striscione che recitava: “Lotta unitaria contro la politica genocida dello Stato fascista turco” per concludersi in place de Neuve, dove vari esponenti curdi hanno potuto intervenire pubblicamente.
Oggi, 25 luglio, è prevista una seconda tappa alle ore 15 in place de la Riponne a Losanna. Praticamente sul luogo del crimine.
Da segnalare che contemporaneamente alla manifestazione di Ginevra del 24 luglio, il presidente turco assisteva alla prima preghiera musulmana nella basilica di Santa Sofia a Istanbul, recentemente trasformata in moschea. Se alcuni osservatori hanno interpretato questo atto politico come il tentativo di Erdogan di qualificarsi come leader musulmano di prestigio, per i curdi esso rievoca la data infausta (24 luglio 1923, trattato di Losanna) che ha certificato la morte dell’ipotesi di uno Stato curdo (com’era invece previsto dal trattato di Sèvres stipulato tre anni prima).
Con la caduta dell’impero ottomano prendeva avvio, nel corso degli anni successivi, la nascita e formazione di vari stati nazionali tra cui l’Armenia, la Siria e l’Irak. Ma non il Kurdistan, nonostante il popolo curdo già allora fosse rappresentato da decine di milioni di persone che vivevano su quelle terre da millenni.
Sottoposti all’oppressione di ben quattro stati colonizzatori, in barba al diritto all’autodeterminazione, i curdi da allora hanno subìto sia tentativi di vero e proprio genocidio fisico, sia di etnocidio e assimilazione. A loro è stato impedito di parlare la propria lingua e di vivere la propria cultura. Inoltre le risorse naturali dei loro territori sono state regolarmente saccheggiate dai vari dittatori di turno.
Le molteplici rivolte dei curdi, in particolare nel secolo scorso, venivano soffocate nel sangue soprattutto nei territori sotto amministrazione-occupazione turca (Dersim, Kocgiri, Zilan…). E come da manuale, ai massacri seguivano le deportazioni.
Analogamente, anche in Irak e Iran i Curdi venivano umiliati e calpestati. Basti ricordare il massacro di Anfal (1988), opera di Saddam Hussein (all’epoca cane da guardia dell’occidente in chiave anti-iraniana), e le campagne di autentico genocidio anti-curdo promosse dall’ayatollah Khomeini (quello che piaceva tanto sia ai fascisti di Terza Posizione, sia a qualche “antimperialista” soidisant di sinistra ancora attivo nei social) con la Repubblica Islamica d’Iran fondata nel 1979. L’oppressione subita dai Curdi, oltre che per ragioni etniche, si è alimentata anche del pretesto religioso in quanto minoranza rispetto alla maggioranza dei vari Paesi. Per esempio in Turchia i curdi vengono perseguitati anche in quanto alawiti o yazidi (ossia non sunniti come la maggioranza dei turchi).
Viceversa, in Iran hanno subìto angherie da parte del regime al potere anche in quanto minoranza sunnita (in gran parte almeno). E qualcosa del genere è accaduto sia in Irak sia in Siria.
Fino a quando?