Riceviamo e pubblichiamo questa testimonianza di Jordi Oriola Folch, regista e documentarista catalano molto attivo nella difesa dei popoli oppressi (e in particolare del popolo saharawi).
Come sapete, il 1° ottobre 2017 c’è stato un referendum sull’autodeterminazione in Catalogna, dove più di 2,3 milioni di persone hanno votato (43% delle liste elettorali) con il 90,1% a favore dell’indipendenza, mentre lo Stato spagnolo inviava 10.000 poliziotti per cercare d’impedire il referendum, ferendo più di mille persone. Da allora il movimento è rimasto altrettanto forte e ha vinto tutte le elezioni, nonostante la spietata repressione spagnola.
Voglio spiegarvi quanto è stressante essere combattenti indipendentisti catalani e perché non c’è pace o tranquillità per noi se non accettiamo di rinunciare al nostro obiettivo politico, che è legittimo come qualsiasi altro, purché sia difeso senza violenza. Ma la Spagna la violenza la usa, e ha condannato nove leader catalani da 9 a 13 anni di carcere con l’accusa di aver organizzato il referendum. Il presidente Puigdemont e altri membri del suo governo sono andati in esilio in Europa e non sono stati consegnati alle autorità spagnole perché i giudici tedeschi e belgi non li hanno giudicati colpevoli. I partiti indipendentisti catalani hanno contribuito a far cadere il precedente governo di destra spagnolo, ma l’attuale governo socialista-liberale è nazionalista come il precedente e ci reprime altrettanto. Per andare d’accordo con la Merkel, il governo di Madrid ha accettato un tavolo di negoziazione con i catalani, che si è riunito a febbraio e poi mai più, anche se l’idea era di incontrarsi una volta al mese. A luglio si voleva ricominciare, ma il governo centrale non è stato disposto a farlo.
Il governo spagnolo ha approfittato del Covid-19 per prendere il controllo del sistema semi-federale sanitario e non ha lasciato che la Catalogna si autogovernasse contro il virus. Lo Stato ha appostato i militari e la polizia ogni giorno nelle conferenze stampa, come se fosse una dittatura. E la magistratura non ha fatto uscire i prigionieri politici catalani a causa del pericolo Covid-19, malgrado i consigli dell’OMS. Per vendicarsi di loro.
E ora, in qualche modo recuperati dall’impatto iniziale del virus, ci troviamo ancora una volta nel bel mezzo del ritmo frenetico della politica in Catalogna. Un ritmo inimmaginabile in altri Paesi europei. Noi catalani non possiamo condurre una vita tranquilla o concentrarci su progetti personali, perché le notizie politiche ci scuotono ogni giorno e ci tengono all’erta per sapere da dove arriveranno i colpi.
Giudicate voi stessi.
Nel bel mezzo della pandemia, la stampa svizzera e inglese ha rivelato che il padre dell’attuale re, posto sul trono dal dittatore Franco, è indagato in Svizzera per conti bancari con 100 milioni di euro di presunte commissioni illegali provenienti dalla monarchia saudita.
Nove attivisti, arrestati e tenuti in carcere per quattro mesi con l’accusa di aver progettato attentati, sono stati rilasciati con la condizionale, non essendoci prove a loro carico (l’accusa stessa sembra essere stata inventata dalla polizia).
Un collaboratore del presidente Puigdemont è stato chiamato a testimoniare per aver pagato 14 euro di pedaggio autostradale, essendo andato a visitare prigionieri politici, e per essersi recato in Nuova Caledonia come osservatore al referendum sull’autodeterminazione.
Abbiamo anche potuto seguire il processo televisivo dei quattro membri della dirigenza della polizia catalana accusati di ribellione per il loro comportamento durante il referendum. Nel processo tutte le accuse sono state ritirate, ma vedremo qual è il verdetto.
Alcuni documenti declassificati della CIA hanno rivelato che l’ex presidente spagnolo Felipe Gonzalez era dietro il gruppo terroristico GAL che ha ucciso 27 baschi e ne torturati altri 30.
Poi la giustizia ha chiesto di processare un deputato catalano, ben posizionato per guidare uno dei grandi partiti indipendentisti. L’accusa è di corruzione, forse inventata dalla polizia.
Ci hanno quindi sorpreso con l’annuncio che, dopo sei anni di attesa, proprio ora giudicheranno l’ex presidente catalano Pujol e la sua famiglia per associazione a delinquere e corruzione: in questo modo cercheranno di coprire la vera corruzione e di danneggiare i partiti pro indipendenza alle prossime elezioni catalane.
Il “Guardian” ha rivelato che i cellulari di numerosi politici favorevoli all’indipendenza sono stati posti illegalmente sotto controllu con un software israeliano che viene venduto ai governi per perseguire terroristi e criminali.
Il governo catalano ha deciso di mettere in quarantena alcuni comuni a causa del risorgere del Covid-19, ma il sistema giudiziario ha cercato di bloccarlo, sostenendo che i diritti fondamentali sarebbero stati violati; ma in altri casi e luoghi, della violazione dei diritti non si è minimamente preoccupato.
Abbiamo anche appreso che l’ex re Juan Carlos nasconde presumibilmente milioni di euro nel palazzo dove vive la famiglia reale, che gli sono stati portati in casse segrete e che amministra con una macchina contabanconote. L’attuale re, Felipe VI, ha dichiarato di non saperne nulla. Inoltre la ex amante di Juan Carlos, testimone nel processo contro di lui, dall’Inghilterra lamenta di aver subìto intimidazioni da parte dei servizi segreti. In stile mafia.
Felipe è venuto in visita in Catalogna e il movimento indipendentista ha organizzato una grande manifestazione di protesta, ma il forte dispiegamento della polizia non ha permesso ai manifestanti di avvicinarsi al re, mentre è stato consentito il passaggio di 15 persone con bandiere spagnole: una violazione del diritto di manifestare secondo le proprie idee.
Il giorno seguente è iniziato un nuovo processo televisivo contro quattro membri dell’ufficio di presidenza del Parlamento della Catalogna, accusati di avere permesso il dibattito e l’approvazione delle legge che portarono a celebrare il referendum del 2017.
L’indomani è iniziato il processo contro quel promettente deputato. E lo stesso giorno due attivisti catalani, arrestati per aver protestato contro la condanna dei leader indipendentisti, sono stati assolti. Sono stati tenuti in prigione per otto mesi per essere di origine marocchina… Altri due attivisti di origine marocchina sono stati minacciati di deportazione.
Ci sono ancora una trentina di attivisti in attesa di processo per le proteste contro la condanna dei leader indipendentisti. Abbiamo appena saputo che ci sono 197 persone accusate di aver preso parte a una manifestazione non violenta al confine con la Francia per protestare contro la sentenza. È in corso anche un processo a cinque giuristi che hanno operato come commissione elettorale durante il referendum. Due membri di un partito indipendentista saranno processati per aver rifiutato, nel processo ai leader indipendentisti, di rispondere alle domande del partito di estrema destra Vox che era stato accettato come parte civile; ciò che gli ha permesso di diventare visibile come garante dell’unità della Spagna (a quel tempo Vox era un movimento extraparlamentare, oggi è la terza forza del Congresso spagnolo). E poi un altro processo a trenta persone per appropriazione indebita, disobbedienza, eccetera.
Anche l’attuale presidente della Catalogna, Quim Torra, sarà sicuramente rimosso dalla sua carica a partire da novembre per aver appeso uno striscione contro i prigionieri politici. E questo porterà la legislatura a una brusca fine un anno prima del previsto, costringendo a elezioni anticipate.
Non so se siete rimasti esterrefatti da questa valanga di notizie, che in altri Paesi europei si susseguono in termini di mesi se non di anni, ma in Catalogna ciò avviene ogni settimana e persino ogni giorno. Noi catalani siamo pacifici e vogliamo solo poter decidere democraticamente il nostro status politico, ma quello che stiamo sopportando è troppo intenso e ingiusto. L’Unione Europea vede tutto ciò come una questione interna spagnola e non vuole essere coinvolta, ma il nazionalismo di Madrid sta superando ogni limite accettabile. L’Europa e il mondo devono reagire prima che sia troppo tardi.
Jordi Oriola Folch, Barcellona.