Fra il XVIII e il XIX secolo cominciarono a stabilirsi nella mitica foresta bellunese i Cimbri, genti di origine germanica, la cui storia remota è ammantata di mistero. Chi erano e che cosa rimane oggi di loro nel Cansiglio?
C’è ancora chi ricorda i vecchi raccontare del lupo: quell’animale che di notte grattava la porta e le pareti della loro Haus, la casa dei Cimbri. Anche le finestre erano state costruite strettissime proprio per evitare visite spiacevoli nel bel mezzo del sonno. Da allora sono passati all’incirca duecento anni, da quando il Cansiglio, seconda foresta d’Italia per estensione, era abitato da poche famiglie. Erano quelli i primi uomini che erano riusciti ad adattarsi alle dure condizioni di vita imposte dal bosco. Non c’erano strade, mancava la possibilità di approvvigionamento, gli inverni erano rigidi. La foresta bandita, grande polmone di legname per la Repubblica della Serenissima Venezia, non aveva ospitato nessuno prima di questa gente “strana”: i Cimbri.
Parlavano una lingua incomprensibile di origine austro-bavarese, tanto che vennero subito definiti come cruch e cioè Tedeschi. Loro, chiusi e riservati, proverbialmente onesti (“giusto come un cimbaro”, recita un locale detto popolare) venivano da lontano. L’ultima loro tappa prima del Cansiglio era stata l’altopiano di Asiago, i Settecomuni. E da lì, precisamente da Roana, a cominciare dall’inizio del diciottesimo secolo (una data certa sembra il 1707), i primi Cimbri avevano cominciato, alla stregua di “pendolari”, a sfruttare il legname del Cansiglio per le loro attività economiche: scatoi, mastee (scatole e mastelli). Con che diritto essi, per primi, siano riusciti a tagliare le piante della foresta bellunese ultraprotetta da secoli, è ancora da chiarire. Sembra, comunque, che essi abbiano avuto inizialmente una concessione dalla Serenissima. La loro attività fu poi apprezzata dai successivi dominatori, gli Austriaci, che permisero loro di conservare i diritti acquisiti. Agli inizi dell’800, probabilmente per cause relative alla difficoltà di reperimento di materia prima sull’altopiano di Asiago, le prime famiglie di Cimbri si trasferirono stabilmente nel Cansiglio, mantenendo però con il gruppo dal quale si erano staccati uno stretto rapporto. Prova ne è il fatto che le donne per decenni andarono a partorire a Roana. In Cansiglio i primi ad arrivare furono quattro giovanotti: tre Azzalini e uno Slaviero. Poi, a ruota, giunsero gli altri compaesani. Nel 1874 i Cimbri erano 250, distribuiti in 43 famiglie. Un’altra data: il 1887 è l’anno dei primi insediamenti nei villaggi che tuttora sono arrivati a noi: Campon, Le Rotte, Pian Osteria, Vallorch, Canaio, Col Formiga, Pich. Fino ad allora i Cimbri erano vissuti in poveri casoni, abitazioni di legno con il tetto di foglie e paglia. Ma chi sono questi Cimbri? Da dove vengono? Vor viil viil jaar, molti molti anni fa, essi furono forse discendenti di quei Cimbri che partirono dal Mar Nero e poi, sotto la spinta di un altro popolo, i Medi, risalirono il Danubio stabilendo la loro dimora in Danimarca. Da lì, attorno al VII secolo a.C., essi cominciarono le prime emigrazioni verso sud. L’intera tribù cimbra mosse dalla penisola danese (esiste tuttora un cippo che ne ricorda la partenza) qualche secolo dopo e fu distrutta dal console romano Mario ai Campi Raudii nel 101 a.C. I superstiti avrebbero così trovato rifugio nel Veronese (i Tredici Comuni) e nel Vicentino (i Sette- comuni). Questa però è solo una ipotesi sulla provenienza dei Cimbri: quella storicamente meno plausibile e, purtuttavia, la più radicata nella tradizione orale. vicino a Verona, dove Mario in quel tempo ai nostri vecchi Cimbri ha dato tremenda sconfitta…”, dice un canto cimbro. Secondo alcuni germanisti, i Cimbri potrebberò essere invece più probabilmente quel che rimane delle popolazioni germaniche abitanti il Veneto dopo la caduta dell’Impero romano e integrate da successivi trasferimenti fino al XII secolo. Trabakai, haka (ascia), fer da therkoi, slire, erano gli strumenti dei Cimbri del Cansiglio. La loro lingua oggi non si parla più. Riandare alle lavorazioni di allora riporta indietro nel lempo e risveglia la memoria. Luogo di produzione era la huta, la capanna dell’artigiano. Formata da un unico spiovente e coperta di stele (assicelle di faggio) conteneva tutto il necessario per gli scatoi. Sul zoch da sciapar si spaccavano e si squadravano i tondelli di faggio. Sul piegador venivano fatte passare le sottili assicelle (stele) dopo che erano state riscaldate al fuoco. Ne uscivano i bordi ricurvi di setacci di ogni tipo e di scatole: quelle più conosciute hanno contenuto per anni la mostarda, essendo ritenute il miglior recipiente per questo tipo di prodotto. Oggi coloro che riescono nel difficile lavoro degli scatoi si possono contare sulle dita di una mano. È una lavorazione, ma soprattutto una cultura, che rischia di venire dimenticata. Le qualifiche attribuite ai Cimbri nei registri di nascita all’inizio del secolo sono: scatoleri, falegnami, tamiseri, ma, soprattutto, artisti. E, infatti, aprire e sezionare il legno senza segarlo, come facevano i Cimbri di allora, doveva essere davvero un’arte. Un’arte fondata sulla perizia, sulla conoscenza del faggio, soprattutto quando si dovevano scegliere le piante da abbattere nel bosco. Le operazioni cominciavano con il Khost, la prova per stabilire la qualità del legno da abbattere. Veniva tagliato infatti solo il faggio s-ciet, cioè compatto, le altre piante, quelle trefer (nocciolute) o laher (ondulate) o cusher venivano ugualmente abbattute ma utilizzate in altro modo. Oggi in Cansiglio dei villaggi cimbri di un tempo resta ben poco. Incendiati dai nazifascisti, preoccupati di non dar riparo ai partigiani, sono stati ricostruiti tra non poche difficoltà a causa delle controversie che già da anni erano in corso con le autorità forestali. I tratti salienti della caratteristica tipologia di villereccio alemannico è stata però mantenuta, anche se i tetti in stele sono stati sostituiti dalle lamiere. Anche quei pochi oggetti cimbri che probabilmente arredavano le povere case sono stati perduti. Come testimonianza di un popolo che ha antropizzato il Cansiglio è stato aperto qualche anno fa un museo etnografico dal Corpo Forestale dello Stato. Purtroppo, è oggi l’unica traccia, oltre ai villaggi, che rimane per chi vuol avvicinarsi ai Cimbri del Cansiglio.