È stato identificato e analizzato un olio di oliva di quasi 2000 anni, il più antico del mondo. Era contenuto in una bottiglia di vetro, sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e probabilmente proveniente dagli scavi di Ercolano. A questo risultato è arrivata una ricerca condotta dal dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che custodiva il reperto nei suoi depositi.
Il team di ricerca multidisciplinare coordinato da Raffaele Sacchi del dipartimento di Agraria, ha per la prima volta verificato l’autenticità e stabilito l’identità del campione di olio di oliva attraverso la datazione al radiocarbonio e il rilevamento di biomarcatori analitici. I risultati sono stati descritti nell’articolo Olive oil from the 79 A.D. Vesuvius eruption stored at the
Naples National Archaeological Museum pubblicato su “Science of Food”.
La scoperta della bottiglia si deve ad Alberto Angela: il giornalista si trovava nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli per girare un servizio di Superquark sui suoi magnifici depositi che custodiscono migliaia di reperti rinvenuti soprattutto a Pompei, Ercolano e altri siti sepolti dall’eruzione del 79 d.C. Gli scavi archeologici erano iniziati grazie al Principe dell’Elboeuf nel 1738 e continuati poi con Carlo di Borbone: “Avevamo appena finito di filmare il settore dei reperti in vetro (bellissimi). E, poco prima di lasciare la stanza avevo notato una bottiglia di epoca pompeiana, coricata in una cassetta polverosa: al suo interno intravedevo del materiale solidificato in perfetto stato di conservazione. Sono ormai 25 anni che realizzo servizi, puntate o libri su Pompei e avevo intuito subito la portata scientifica e storica di quel reperto dimenticato nei depositi. Quella bottiglia si trovava nel Museo dal 1820, quando era stata scoperta durante alcuni scavi di età borbonica e collocata in questi sterminati depositi assieme a migliaia di altri reperti. Di quella bottiglia si era poi persa la memora, soprattutto nessuno l’aveva mai studiata. Non sapevo che cosa fosse quel materiale dentro la bottiglia. Essendo la sua superficie un po’ in pendenza, avevo pensato che in origine si trattasse di una sostanza liquida e che la bottiglia, nella violenza dell’eruzione, fosse stata sepolta semi-adagiata, rimanendo in quella posizione per secoli e portando quindi il liquido a solidificarsi inclinato”.
La bottiglia fa parte di una collezione che comprende utensili per vari usi domestici e bottiglie di vetro di forma diversa. All’interno del campione, come hanno spiegato i ricercatori dell’Università di Napoli, è sopravvissuto molto poco delle tipiche molecole dell’olio di oliva: i trigliceridi, che rappresentano il 98% dell’olio, si sono scissi negli acidi grassi costitutivi; gli acidi grassi insaturi si sono completamente ossidati generando degli idrossiacidi che a loro volta, con una lenta cinetica, nel corso di circa 2000 anni, hanno reagito tra di loro formando dei prodotti di condensazione, gli estolidi, mai osservati in precedenza nei processi convenzionali, di alterazione naturale dell’olio di oliva.
Come ha commentato Raffaele Sacchi, “Si tratta del piu’ antico campione di olio di oliva a noi pervenuto in grandi quantità. La più antica bottiglia d’olio del mondo. L’identificazione della natura della bottiglia d’olio archeologico ci regala una prova inconfutabile dell’importanza che aveva nell’alimentazione quotidiana delle popolazioni del bacino Mediterraneo e in particolare degli antichi romani nella Campania Felix”.
L’olio d’oliva veniva prodotto in quantità significative nel territorio, e gli oli di alta qualità sono descritti a Venafro, non lontano dalla regione del Vesuvio. Rispetto ai lavori precedenti, che offrivano solo indizi per stabilire la natura vegetale dei grassi recuperati nei siti archeologici di pompei ed Ercolano, i ricercatori dell’Università di Napoli evidenziano in modo sorprendente l’evoluzione molecolare dell’olio d’oliva attraverso un periodo di conservazione di quasi 2000 anni.