Gualtiero Ciola, Noi, Celti e Longobardi: Le altre radici degli italiani, Moira, 2025.
“La narrazione dominante nella repubblica italiana – media, manuali scolastici, propaganda istituzionale – invoca volentieri, foss’anche in modo abusivo e distorto, ascendenze latine e italiche. Guarda con indifferenza al retaggio della Magna Grecia. Ma soprattutto ignora e rimuove il substrato celtico, pur assolutamente dominante nella zona che si estende sino allo spartiacque dell’Appennino Tosco-Emiliano e ben presente anche altrove. Ed ancor più, in parte per latente germanofobia, quanto ha lasciato dietro di sé l’insediamento in epoca storica dei longobardi nelle nostre terre, ad un livello più superficiale ma geograficamente ancora più esteso.
Quest’opera rappresenta uno sforzo generoso e monumentale di correggere il tiro. Riproporla in un’epoca in cui le istanze identitarie e autonomiste nelle zone più direttamente interessate del nostro Paese sono state politicamente abbandonate a favore di altre agende, serve anche a ricordarci come il senso di appartenenza, in Italia come in Europa, non sia nutrito da omologazioni forzate che sono comunque l’anticamera del globalismo, ma dalla consapevolezza delle differenze e dall’orgoglio delle proprie radici”.

Hugh MacDiarmid, Come una pietra instabile, Magog, 2025.
“Ogni dire intorno a Hugh MacDiarmid (1892-1978) sfiora la furia della leggenda. Poeta-Minotauro d’implacabile grazia, MacDiarmid, figlio di un postino di Langholm, è l’Achille e il Don Chisciotte della letteratura scozzese. Amato da Yeats, idolatrato da Seamus Heaney – lo disse poeta “pazzo di scrittura” – fu cofondatore del National Party of Scotland (da cui fu cacciato) e membro estremista del Communist Party of Great Britain (da cui fu espulso). Qualcuno lo accusò di essere fascista; George Orwell preferiva evitarlo. Nel 1933 si ritirò alle Shetland: i pescatori lo scortavano nei luoghi più remoti dell’arcipelago, alla mercé di una solitudine implacabile. Sguainò lo scots, l’antica lingua scozzese, come un’arma regale. Politica e geologia, gesto etico e un’atletica del contrasto contraddistinguono la sua opera più grande, On a Raised Beach, al contempo manifesto di geo-poetica e codice esistenziale, è il poema lapidario che insegna a “Essere noi stessi senza interruzione”, più vertiginoso – ditelo senza sussurrare, da oggi – della Waste Land di T.S. Eliot. Avete tra le mani qualcosa di terrificante”.