C’è una misteriosa origine comune tra gli antenati dei baschi, unico popolo pre-indoeropeo ancora esistente sul vecchio continente, e i progenitori dei biellesi, i victimuli?
Di sicuro, una robusta tradizione popolare, un mitico leggendario di fondazione e una memoria atavica, lasciano intendere che nelle due regioni montane i primi abitanti erano nati per intervento diretto del semidio Ercole, il fantastico personaggio dell’epica pagana. Il primo a collegare il guerriero Eracle, figlio di Giove, al territorio di Biella fu nel 1657 lo storico Carlo Antonio Coda nella sua Historialis relatio civitatis Bugellae, meglio nota come Ristretto del sito e qualità di Biella e sua provincia.
In questo importante saggio in bilico tra realtà storica e fantasia, egli sostenne, richiamandosi a una lunga tradizione, che in un lontano passato la nostra urbe primitiva fosse “ristorata da Ercole”, portando come prova di questa eccezionale rinascita grazie a un semi-dio l’esistenza dell’“idolo a lui dedicato ed a Bacco conservato a perpetua memoria sopra la porta del Battistero”.
In effetti, all’esterno dell’edificio dei riti di cristianizzazione in un lontano passato, è stato inglobato nel Battistero romanico un singolare bassorilievo litico d’origine incerta ma verosimilmente d’età romana, che raffigura due misteriosi personaggi di sesso maschile, entrambi nudi e con i genitali in mostra, uno con delle verghe in mano e l’altro abbracciato a una colonna dall’inequivocabile forma fallica. Cosa rappresenti davvero questa singolare scultura non s’é mai capito, anche se i due fanciullini sembrano eseguire un passo di danza.
Nel 1881, lo storico Severino Pozzo ribadì che l’arcaica scultura avrebbe raffigurato proprio l’eroico guerriero Ercole assieme al dio Bacco. Più di recente, Giuseppe Fontanella nella Guida al Biellese nel turismo e nell’industria ritiene l’oggetto “un bassorilievo marmoreo raffigurante Ercole con amorini, soggetto pagano dell’epoca dei Cesari, probabilmente proveniente da tombe romane preesistenti nelle adiacenze”.
Un noto esperto come Gianni Carlo Sciolla ha più correttamente spiegato che nella lastra sono raffigurati due “eroti”, dunque dei personaggi al centro delle pratiche sessuali (anche oscene) del mondo pagano, rafforzando la credenza che il focoso, irruento e superdotato personaggio della mitologia dell’Olimpo si fosse personalmente appartato con le fanciulle della nostra terra, dando origine a una stirpe forte e determinata.
Si sarebbe perciò formato un mito fondativo fantastico, perpetuando l’orgogliosa tradizione d’una origine sopranaturale ed eroica della gens bielèisa, che di luoghi straordinari d’origine pagana ne ha da vendere a cominciare dal centro di devozione del “Ròch dla vita” di Urupa, passando per l’enorme roccia dal volto umano del “Dèir Saltzer” in val dl’Elf (Elvo) e chiudendo il cerchio magico con la zona dei “Nar”, dove lo studioso Durandi collocava le selve dei culti apollinei. Riti che venivano praticati nei boschi cari ai druidi di Vittimula, soggiogati da quei romani felloni che avevano terrore delle foreste, abbattendole dappertutto.
Ma nel suo peregrinare nel dar linfa vitale ad alcuni popoli privilegiati, prima di occuparsi dei biellesi, Ercole avrebbe lasciato tracce del suo passaggio anche nel Paese Basco. Questo, ovviamente, se si presta fede al leggendario misterioso che si addentra nei tortuosi meandri del labirinto narrativo sulle origini delle stirpi.
A tramandare il racconto delle gesta iberiche di Ercole è stato il poeta romano del I secolo d.C. Silio Italico, il quale descrisse l’eroe divinizzato in transito sulla catena montuosa di Euskadi, facendo innamorare la figlia del re locale Bebryx chiamata Pyrene. L’eroe libertino doveva però abbandonarla in tutta fretta dopo aver saputo che dai loro amplessi amorosi e dalle sue “riflorazioni” era nato un figlio. Disperata e affranta, la povera principessa morì di crepacuore e fu lo stesso Ercole a seppellirla in una grotta tra le cime nevose, che da allora presero il nome di Pirenei. Il figlio, nato prematuro, sopravvisse alla madre e generò la stirpe soprannaturale che ha dato origine al Popolo Basco.
Tipico mito genealogico, l’antica leggenda fa discendere da un dio la stirpe della più antica civiltà europea e la affranca dalla generale credenza nella filiazione comune del genere umano affermata dall’Antico Testamento e dall’antropologia cristiana, esaltando invece e celebrando una specificità che ne giustifica la distinzione.
Tuttavia, nel contesto d’una comune umanizzazione ancestrale, i baschi antichi condividono la loro identità con alcuni popoli della “Garaldea”, la “nazione” megalitica della montagna d’Europa che si eleva dai Pirenei alle nostre Alpi. Tracce evidenti di questo legame sono ancora rintracciabili nei dialetti, nella toponomastica e soprattutto nella mentalità delle “terre alte” di cui il Biellese, e in particolare Urupa, è il centro.
Seguendo gli insegnamenti del celebre studioso e patriota basco Federich Sangredo Krutwig, che sosteneva l’esistenza di un antico legame spiritule tra Euskadi e Piemonte, nell’ormai lontano 1983 pubblicai sull’ “Armanach Piemontèis” del maestro di cultura Andrea Viglongo un saggio sulle “sorprendenti tracce del basco nel Biellese”; notando che paesi biellesi con nomi identici a quelli baschi sono una realtà diffusa, a partire da Lessona, Zumaja, Zubiena e Vivrun (sorella d’Iruna basca); e soprattutto Graja, che ha la dignità di capitale alpina ed è sovrastata dall’imponente “Dèir Saltzer”, la pietra che la natura ha creato con il volto d’un giovane guerriero. E mi fermo qui. Al di là delle leggende.