foto di Maurizio Karra
Sono davvero poche le persone o gli studiosi, anche in àmbito etno-antropologico, che conoscono uno dei popoli minoritari più piccoli, per numero di individui, del vecchio continente. Parliamo dei palóc, una comunità di poche decine di migliaia di persone situata in un’area di confine tra l’Ungheria settentrionale e la Slovacchia meridionale, il cui nome è per la prima volta testimoniato in un registro ufficiale della monarchia asburgica datato 1784, ma di cui rimane ancora oggi oscura l’origine storica e la provenienza migratoria.
Incertezze su origini e nome
Anche il termine “palóc”, per quanto derivi sicuramente dallo slavo polovets (letteralmente “a metà”), non è di chiara interpretazione; secondo alcuni storici slavi è probabile che polovci, il nome attribuito in Slovacchia a questa etnia, abbia in origine evidenziato un popolo solo a metà slavo, anche se in Ungheria si tende a considerarli un sottogruppo etnico magiaro: in tal caso il concetto espresso dal loro nome significherebbe semplicemente che anche il loro territorio è diviso “a metà”, come in effetti è, tra Ungheria e Slovacchia.
Tuttavia i dubbi sulle loro origini li avevano pure i turchi quando giunsero dalle loro parti nell’espansione verso la Mitteleuropa, dato che, pur considerandoli simili agli ungheresi per cultura, li reputavano un gruppo etnico distinto e diverso rispetto agli stessi magiari.
A fine ‘800 furono le opere di Kálmán Mikszáth, un nobile nativo di una piccola località al confine tra Ungheria e Slovacchia che si era dedicato al giornalismo (scrivendo per molti giornali ungheresi, tra cui il “Pesti Hírlap”), a dare risalto a questo popolo grazie anche a una raccolta di racconti, pubblicata nel 1882, dal titolo La brava gente di Palóc.
Hollókő, il villaggio-museo
Oggi non è facile incontrare questo popolo sparso nel territorio di confine tra i due Stati europei, e quindi spesso confuso da un lato con la popolazione ungherese e dall’altro con quella slovacca. Ma esiste un piccolo villaggio, quello di Hollókő, vicino alla città di Eger e in prossimità della cittadina di Szécsény (all’interno della contea ungherese di Nógrád), costruito tra i secoli XVII e XVIII, che è stato proclamato Patrimonio dell’Umanità dall’unesco nel 1987 proprio perché qui sembra essersi concentrata, rimanendo di fatto intatta, la storia e con essa l’insieme delle tradizioni di questo popolo davvero particolare.
A Hollókő è come se la vita e la cultura dei palóc fosse riuscita a rimanere sostanzialmente intatta, cristallizzata nel tempo, evidenziando le peculiarità di una storia unica e particolare, legata a una lingua anch’essa immobile nel tempo, spesso quindi incomprensibile sia agli ungheresi sia agli slovacchi confinanti, caratterizzata tra le altre cose dal mancato ricorso a congiunzioni nel proprio parlare.
Sappiamo bene che quest’area dei Carpazi ungheresi è, oltre a quella ben più nota e turistica della vicina pianura della Puszta, la più importante per le tradizioni popolari dell’Europa centro-orientale. È infatti legata a tradizioni che hanno perpetrato fino ai nostri giorni soprattutto l’arte del ricamo e la produzione di ceramiche decorate, oltre a oggetti in legno intagliato e decorato di eccezionale bellezza.
Ma tornando a Hollókő, va detto che il piccolo borgo, chiuso al traffico tranne che per i residenti, è sostanzialmente formato da due strade lastricate che si incrociano e sulle quali si affacciano appena cinquantotto case bianche caratterizzate da frontoni in legno su cui sono incise decorazioni stilizzate che incorporano croci e altre figure simboliche, con funzioni sia religiose sia magico-apotropaiche. Lungo queste due strade si incontrano negozi di ceramica dai numerosi colori e decorazioni, di tessuti e di altri prodotti locali. Ci sono alcuni piccoli musei, come quello delle bambole, con centinaia di bambole e bambolotti vestiti con costumi ungheresi relativi alle diverse regioni; o come quello della posta e quello della tessitura. Si possono inoltre visitare gli interni di alcune case arredate ancora come cent’anni fa e più, con gli splendidi letti intagliati in legno, le immagini sacre dal sapore naïf alle pareti e il focolare che fungeva anche da cucina.
In uno di questi edifici, un’antica fattoria a un unico piano con un porticato anteriore e tre locali al suo interno, costruita in mattoni e intonacata, è stato allestito fin dal 1964 lo spazio museale più importante: una mostra etnografica permanente costituita da arredi degli anni ‘20 del secolo scorso, con mobili caratteristici, contenitori, seggiole, letti imponenti e armadi decorati con intagli lignei, così come le cassapanche che servivano a contenere la biancheria della casa. Appese alle pareti non mancano immagini sacre, a conferma della grande religiosità di questo popolo. Sul retro della costruzione si trova un magazzino con funzione di dispensa, nella quale veniva un tempo riposto il grano che doveva servire nell’arco dell’anno per la panificazione; ma spesso nel piccolo spazio, in caso di famiglie numerose, trovava posto anche un letto per gli anziani.
Nel cuore del villaggio, alla biforcazione tra la Kossuth utca e la Petőfi Sándor utca, entrambe acciottolate come nei secoli passati, si trova la piccola e candida parrocchiale cattolica (la quasi totalità dei palóc appartiene a questa confessione) dedicata a San Martino, costruita nelle forme originarie a metà del ‘300 ma sostanzialmente riedificata nell’800, con il tetto a due larghe falde in legno così come il campanile che funge da ingresso all’unica navata della chiesa. All’interno si possono ammirare una pala d’altare recentemente restaurata e dedicata a San Martino, una Pietà e un Crocefisso ligneo di ispirazione popolare.
Al di sopra del villaggio, nascosto in un folto bosco, si innalza un castello del XIII secolo, parzialmente distrutto durante le guerre di indipendenza contro l’avanzata ottomana, tra i secoli XV e XVI, muto testimone della travagliata storia di questa parte d’Europa.
Ad accompagnare i visitatori del piccolo abitato provvedono ragazze e ragazzi del popolo palóc che vestono il loro costume tipico tradizionale, in linea con la volontà comune di non disperdere le proprie tradizioni e anzi salvaguardarle nel tempo per farle conoscere a chi giunge da queste parti da altri Paesi o dalla stessa Ungheria.
Tradizioni e folklore
Va sottolineato che, pur a fronte di un modesto numero di persone che ancor oggi si riconoscono in questa etnia, nell’area di residenza dei palóc esistono altre piccole comunità (a Balassagyarmat, Varsány, Nógrádsipek, Rimóc, Nagylóc) che evidenziano leggere diversità nei loro costumi tradizionali: si tratta di diferenze nelle forme, nei colori, nelle decorazioni (bordeaux, rosse e blu con fiori bianchi o a loro volta variopinti) o specificatamente nella lunghezza delle gonne e nel ricamo delle spalle delle camicie o del grembiule delle donne, piuttosto che nel modo in cui sono legati al petto i foulard, elemento caratteristico del loro tradizionale modo di vestire; mentre per gli uomini le diversità emergono soprattutto nella forma e negli eventuali ricami delle camicie, oltre che nella lunghezza e nella larghezza dei pantaloni.
Non meno interessante per conoscere la cultura e le tradizioni di questo piccolo popolo è la visita del grande Museo Palòc di Eger, una delle più famose città ungheresi, che ospita una importante raccolta museografica sui palòc in un edificio situato nel cuore del centro storico della città, a due passi dal castello. All’interno delle sale sono esposti mobili, ceramiche, costumi e tessuti che testimoniano la storia e la cultura dei vari villaggi abitati nel tempo dalle comunità palòc, in particolare una collezione di abiti da sposa colorati e riccamente ricamati oltre ad altri capi di abbigliamento usati nei tradizionali cortei nuziali.
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Una delle occasioni più importanti per assistere di persona a una manifestazione dei palóc paludati nei loro abiti tradizionali, è la processione che si tiene ogni anno il 26 luglio, giorno dedicato dal calendario dei santi della Chiesa di Roma al culto di Sant’Anna, la madre della Vergine Maria. Sant’Anna, infatti, è particolarmente venerata da questo popolo come speranza per chi attende la nascita di un figlio e come patrona delle famiglie.In questo giorno, un po’ in tutti i centri dove si trova una comunità di palóc (e anche a Eger dove ovviamente essi sono una piccola minoranza) si svolge una solenne processione che si trasforma in concreto anche in un importante appuntamento identitario per tutta le comunità a entrambi i lati del confine ungherese-slovacco; così come il Palóc World Meeting, che si tiene ogni anno nel mese di agosto in una località diversa tra quelle abitate da questa etnia.
Sono ottime occasioni per accostarsi alla cultura dei palòc, diventato oggi uno dei popoli numericamente più piccoli tra quelli minoritari europei, se non davvero il più piccolo.