Luglio 1997: uno dei momenti più drammatici nella tormentata storia di Euskal Herria. Erano i giorni immediatamente successivi a una delle azioni più assurde e crudeli compiute da ETA, l’assassinio di un ostaggio inerme, il consigliere comunale del PP Miguel Angel Blanco Garrido. E all’orizzonte si profilava la scadenza del processo contro l’intera Mesa Nacional di Herri Batasuna, il partito indipendentista basco accusato di collaborare con ETA.
Il governo del fascistoide Josè Maria Aznar sembrava intenzionato a “capitalizzare” fino in fondo l’operato di ETA e la richiesta di pena di morte per gli “etarras” veniva formulata da filosofi e accademici (Gustavo Bueno proponeva addirittura di riesumare il “garrote”).
Da parte mia ritenevo di dover comunque ascoltare anche l’altra campana, quella di Herri Batasuna. Avevo quindi incontrato Gorka Martinez, responsabile delle relazioni internazionali e membro della Mesa Nacional. In questa veste Gorka era stato recentemente incarcerato, poi liberato su cauzione e rischiava una decina di anni di carcere. Il processo all’intera Mesa Nacional di HB stava per cominciare (6 ottobre 1997) e come è noto si concluse con pesanti condanne. Tra il 1997 e il 2000 l’esponente abertzale verrà incarcerato varie volte (sia come membro della Mesa Nacional che in seguito come esponente dell’Ufficio esteri di HB) ammalandosi gravemente. È morto per un tumore all’inizio del 2002.
Come si pone Herri Batasuna di fronte all’ultima azione di ETA, l’uccisione di Miguel Angel Blanco?
Ovviamente non ci rallegriamo per la morte di nessuno e comprendiamo pienamente il dolore dei familiari, proprio perché in quanto militanti abertzale [sinistra patriottica] da anni sperimentiamo sulla nostra pelle lutti e sofferenze. Gli ultimi avvenimenti, però, non possono essere adeguatamente compresi se non si considerano le circostanze che li hanno preceduti, il contesto in cui si sono svolti. Noi riteniamo il governo spagnolo direttamente responsabile di questa morte. Non è possibile dimenticare l’intransigenza e la chiusura totale del governo spagnolo davanti alla richiesta di gran parte della società basca che chiedeva il rimpatrio (non la liberazione) dei prigionieri politicici baschi. Richiesta che era stata fatta propria da partiti, associazioni, movimenti; una richiesta con cui non si chiedeva altro che l’applicazione della legge per cui i prigionieri avrebbero il diritto di scontare la loro pena in Euskal Herria. Il governo Aznar ha ripetutamente dato prova di non voler rispettare questi diritti elementari. ETA aveva sequestrato Blanco in quanto dirigente del Partito Popolare in Bizkaia, ma il governo di Aznar [leader del Partito Popolare] nemmeno per un momento ha dato l’impressione di voler risolvere il problema e ha preferito trasferire questa responsabilità alla società civile. Inoltre questa morte è direttamente legata all’illegalità praticata dal governo in materia di politica carceraria [ETA aveva chiesto il rimpatrio nelle carceri di Euskal Herria dei prigionieri baschi, attualmente disseminati nelle varie carceri spagnole; non chiedeva la liberazione dei prigionieri]. Se il governo applicasse la legge, tutto questo non sarebbe mai accaduto. La società basca in questi ultimi anni si era ampiamente mobilitata con manifestazioni, scioperi della fame, petizioni… per l’applicazione delle leggi e per il rispetto dei diritti fondamentali dei prigionieri politici, ma i governi spagnoli hanno sempre detto NO. Bisogna capire che anche questa azione deriva direttamente dal rifiuto sistematico del governo di riconoscere i diritti della comunità dei prigionieri e che la richiesta di rimpatrio per i prigionieri baschi è legittima, legale.
Questo scontro sociale interno alla società basca risponde esclusivamente agli interessi di Madrid, incapace di affrontare le proposte di dialogo e negoziati che da almeno due anni vengono portate avanti dal movimento abertzale con l’“Alternativa Democratica”. Nei giorni precedenti la morte di Miguel Angel Blanco, il governo spagnolo aveva nuovamente mostrato la sua totale incapacità nel risolvere i problemi, trasformando l’azione di ETA [il sequestro] in una “questione di stato”, ottenendo l’appoggio della monarchia e di tutte le forze politiche ed economiche.
Ma non credi che proprio tutte queste iniziative della società basca, anche all’estero (penso all’occupazione delle ambasciate spagnole nelle principali capitali europee che ha visto mobilitarsi centinaia di cittadini baschi, parenti e amici dei prigionieri…) rischiano ora di essere vanificate dall’azione di ETA?
Non penso proprio che quello che la società basca ha saputo mostrare con la sua mobilitazione oggi abbia perso di valore. Caso mai è il governo che ha dato prova dei suoi limiti, della sua incapacità o impossibilità di risolvere i problemi.
In questi settimane abbiamo assistito a veri e propri attacchi contro le sedi di Herri Batasuna e contro i militanti abertzale. A tuo avviso si è trattato di reazioni spontanee o sono state organizzate dai partiti avversari? E in questo caso da quali? Il Partito Popolare o il PSOE? E il PNV (nazionalisti baschi moderati)?
Sicuramente i partiti hanno avuto un ruolo, anche se in forma diversa. Mentre il Partito Popolare di Aznar si è impegnato direttamente, gli altri –PSOE, PNV, Izquierda Unida – hanno reagito in modo molto accomodante rinunciando, a mio avviso, anche alla loro identità, si trattasse dei partiti della sinistra o dei nazionalisti moderati; forse anche per paura. Per definire quello che è accaduto si può parlare di “mobilitazione reazionaria delle masse”; alla fine del secolo si ripete in qualche modo quello che accadeva negli anni Venti e Trenta, con il fascismo, in Germania, Spagna, Italia… Fondamentale è stato il ruolo dei mezzi di comunicazione; è provato che i direttori dei principali giornali e televisioni si sono riuniti con esponenti governativi per concordare obiettivi è intensità del messaggio da trasmettere. Questo intervento si è sovrapposto alla necessità oggettiva della società basca di trovare una via d’uscita al conflitto con i risultati che sai: tentativi di linciaggio, molotov contro le sedi di Herri Batasuna, ecc. Si è trattato in gran parte di un movimento alimentato dai partiti (il Partito Popolare in primo luogo) e dai mezzi di comunicazione, un movimento sostanzialmente di carattere reazionario, ma non per questo bisogna ritenere che sia reazionaria la società basca. Una sorta di isteria collettiva che rapidamente ha perso slancio: infatti gli inviti alla criminalizzazione, al linciaggio nei confronti degli indipendentisti lanciati dal Partito Popolare sono stati raccolti sono inizialmente. Noi non temiamo che si crei un clima permanente di scontro sociale perché quello che è accaduto è in massima parte effetto della manipolazione, non è un elemento permanente. Alla fine questa politica si risolverà in un fallimento per il Partito Popolare e i suoi alleati. Noi manteniamo con fermezza la nostra volontà di dialogo con chiunque, al fine di trovare una soluzione per l’attuale conflitto che lacera Euskal Herria.
Sull’ennesimo suicidio (vero o presunto) di un militante abertzale, detenuto nel carcere di Albacete, che ci puoi dire?
In questo momento non possiamo dire se si tratti di suicidio o omicidio. Sicuramente questi episodi riflettono la situazione in cui versano i prigionieri politici, la mancanza di condizioni umane minime. Quest’anno vi sono stati già parecchi episodi analoghi, anche tra gli obiettori totali e anche in questi casi la causa risiede nella politica penitenziaria adottata dal governo. Per non parlare di Josu Zabala che sicuramente è stato “suicidato” da una squadra della morte.
Una settimana fa si è parlato di alcuni documenti da cui risulterebbe che, ancora nell’82, il PNV avrebbe collaborato con i Servizi spagnoli, fornendo elenchi di presunti militanti di ETA. Cosa ci puoi dire in proposito?
Che per noi non è una novità e questi documenti vengono alla luce grazie alle lotte intestine tra i gruppi di potere. Il PNV ha sempre collaborato con le forze di sicurezza contro la sinistra abertzale. E appena ha avuto una sua polizia “autonoma” lo ha fatto in proprio.
Dopo l’uccisione di Blanco da parte di ETA si è assistito a una generale presa di distanza nei vostri confronti, anche da parte di chi vi seguiva con interesse. Cosa mandi a dire?
Vorrei ribadire che quanto è accaduto è conseguenza di una situazione politica non risolta; noi, sia ben chiaro, non viviamo per la morte, ma questa è la realtà odierna di Euskal Herria e richiede una soluzione politica. Non si può pensare di concentrare la storia di un popolo che lotta da anni per la sua liberazione in un giorno o in un singolo episodio.