Diamanti, oro e metalli rari per pagare le medicine: la scelta del governo di Caracas di ricorrere alle materie prime preziose per fare fronte a 5 miliardi di dollari in debiti con le maggiori case farmaceutiche evidenzia il fallimento del Venezuela come Stato nazionale.
A venti anni dall’elezione di Hugo Chavez alla presidenza e a cinque anni dalla successione di Nicolas Maduro, la “rivoluzione bolivariana” ha trasformato uno degli Stati più ricchi di petrolio del pianeta in uno spietato esempio di fallimento economico e politico. Il 2017 si è chiuso con debiti per 150 miliardi di dollari a fronte di riserve per appena 10 miliardi. Corruzione e nepotismo dilagante hanno dilapidato fiumi di danaro, reso inefficiente l’industria estrattiva e, complice il brusco calo del petrolio, ridotto alla povertà gran parte di una nazione che deve il 25 per cento dei Pil al greggio. Le importazioni sono scese da 66 miliardi di dollari del 2012 a 18 miliardi del 2016 con la conseguente scomparsa di prodotti stranieri e ciò ha determinato il parallelo boom del mercato nero gestito dai “bachaqueros”, i trafficanti legati alle gang, che offrono nelle strade 9000 bolivares per 1 dollaro a fronte di un cambio ufficiale di 10 a 1. Le espropriazioni di aziende private inaugurate da Chavez e continuate da Maduro hanno portato a oltre 500 le società pubbliche, in gran parte pesantemente indebitate, moltiplicando illegalità di ogni genere, violenza e povertà. Fino all’agghiacciante ammissione della Federazione farmaceutica sulla non disponibilità sin dal 2016 di almeno l’85 per cento delle medicine di base.
Questo è il motivo per cui negli ospedali mancano gli antibiotici, le garze e perfino il sapone mentre la mortalità è aumentata, negli ultimi 24 mesi, del 30 per cento per i neonati e del 65 per cento per le madri. Sebbene Maduro e i suoi ministri continuino a negare tali numeri, basta mettere piede in Venezuela per accorgersi che la decomposizione del tessuto umano nazionale è oramai in stato avanzato con l’87 per cento della popolazione senza denaro a sufficienza per comprare il cibo necessario e il 30 per cento degli alunni malnutriti.
Con una rapida successione di colpi di mano, elettorali e costituzionali, Maduro è riuscito a mantenere il controllo di questo Stato oramai fallito in quanto incapace di garantire i diritti basilari dei cittadini e ora guarda alle elezioni presidenziali in programma quest’anno puntando a preservare il potere assoluto su ciò che resta del chavismo. Isolato dai vicini del Mercosur, messo alla porta dall’Organizzazione degli Stati americani e investito dalle sanzioni economiche dell’amministrazione Trump, Maduro ha voltato le spalle al FMI trovando però sostegni politici e aiuti economici a Pechino e Mosca. È stata la carta ideologica dell’avversione viscerale agli USA, già giocata da Chavez per legarsi alla Cuba dei Castro e all’Iran degli ayatollah, a consentire a Maduro di trovare 60 miliardi di dollari in crediti in Cina, di trasformare la russa Rosneft in un venditore del 13 per cento del proprio greggio, di ristrutturare 3 miliardi di dollari di debito grazie al Cremlino e di impegnarsi a diventare entro il 2025 il maggior importatore di armamenti “made in Russia”.
Ma neanche tali e tanti aiuti economico-finanziari giunti da Pechino e Mosca fino al termine del 2017, in aggiunta al legame privilegiato con Cuba, Ecuador e Bolivia, hanno consentito a Maduro di poter avere le risorse necessarie per pagare i medicinali. Da qui la scelta estrema di offrire un baratto con diamanti, oro e metalli rari come il coltan usato per costruire cellulari e playstation ammettendo il collasso del “Bolivar Forte”, la moneta creata nel 2008 togliendo tre zeri alla valuta precedente ma da allora precipitata del 97 per cento del valore. Il ministro della Sanità, Luis Lopez, si definisce un “estremista anti-imperialista” e tenta di portare a termine il baratto ordinato da Maduro, e definito da Chavez in passato come una “meravigliosa esperienza” economica attingendo alle riserve dei trafficanti senza scrupoli dell’Amazzonia. Ma anche il baratto tarda a concretizzarsi e così il 95 per cento delle medicine disponibili tre anni fa oggi non sono più sul mercato. Ciò significa che all’emergenza povertà, criminalità e carenza di democrazia si somma una crisi sanitaria che investe 30 milioni di venezuelani, inclusi oltre 200 mila nostri connazionali.
È una tragedia di dimensioni epocali in una nazione di cultura europea ma della quale l’Unione Europea esita a occuparsi in maniera concreta, dimostrando un ritardo, morale prima ancora che politico, nel soccorrere le vittime del chavismo.

 

Maurizio Molinari, “La Stampa”.