Per ora l‘ultima notizia (tarda serata del 2 dicembre) è quella di una famiglia curda in fuga da Afrin contro cui i mercenari filo-turchi hanno aperto il fuoco, uccidendo due membri (Jamal Marsal e il figlio Hassan di 24 anni) e ferendone gravemente altri due (la madre e un‘altra donna che viaggiava con loro). L‘attacco è avvenuto presso il rondò di “Al-Shihan” di Aleppo.
A questo punto, possiamo dire “ordinaria amministrazione”.
Ora come ora gli abitanti dei quartieri curdi di Aleppo – in particolare Sheikh Maksud e Ashrafia – sono diventati ostaggi da deportare in territorio turco. Anche se al momento non se ne conosce il numero, tra le persone sequestrate vi sono molte donne attiviste di Hêzên Parastina Civakî (hpc, un’organizzazione consiliare di base). Forse le stesse donne che due o tre giorni fa erano riuscite a impedire l’infiltrazione dei terroristi di Hayat Tahrir al-Sham (hts) e a catturarne alcuni.
In una dichiarazione del comando generale delle Unità di Protezione della Donna (ypj – Yekîneyên Parastina Jin) si denunciava la brutalità dell’occupazione turca e le atrocità commesse sulle giovani militanti curde fatte prigioniere, chiamando le organizzazioni internazionali delle donne e quelle per i diritti umani a prendere le difese degli ostaggi nelle mani dei mercenari jihadisti.
Riprendo testuale: “Negli ultimi giorni la nostra regione, come tutto il territorio siriano, è diventata l’obiettivo di un attacco su larga scala e su molteplici fronti. Cominciando da Aleppo dove la popolazione è posta di fronte al rischio di venir massacrata. Contemporaneamente gli attacchi si sono rivolti alle nostre zone nel nord e nell’est della Siria dove abbiamo dato prova di una grande capacità di resistenza, in particolare nelle regioni di Shehba e di Aleppo. E il nostro popolo, guidato dalle donne, ha mostrato una grande resilienza di fronte alle aggressioni.
A Sheikh Maqsoud e Ashrafia [i quartieri a prevalenza curda di Aleppo] la nostra gente – con l’esperienza acquisita nel corso di anni di guerra – ha reagito organizzandosi e operando come “Forze di protezione di Sheikh Maqsoud e Ashrafieh” , stroncando decine di attacchi dei mercenari dello Stato di occupazione turco”.
Ma sfortunatemente, prosegue il comunicato delle ypg. “molti giovani uomini e donne sono stati catturati da questi mercenari”. Barbari che “non rispettando né l’etica, né le leggi di guerra, hanno violato la dignità delle prigioniere, utilizzandole come strumento di propaganda sui loro mezzi di comunicazione”; dichiarando apertamente sui social che le avrebbero vendute al mercato degli schiavi.
Un comportamanto brutale, disumano e intollerabile. Condannato energicamante dalle Unità di protezione della Donna (ypj) che promettono di vendicare le donne catturate e sottoposte a tali umiliazioni.
Inoltre rivolgono un’accorata richiesta alle organizzazione internazionali, in particolare “a Amnesty International e al Comitato Internazionale della Croce Rossa, così come a tuttte le organizzazioni delle donne e dei diritti umani affinché, compiendo il loro dovere, proteggano queste donne che hanno difeso i quartieri e le città. Insistiamo sulla necessità di garantire i loro diritti come prigioniere di guerra”.
Per le ypg le atrocità commesse dai mercenari sulle giovani curde catturate sono il riflesso di quelle commesse dall’isis nel 2014 a Sinjar, Mosul e Raqqa quando migliaia di donne vennero vendute come schiave.
L’estrema manifestazione di una mentalità patriarcale che umiliando le donne curde vuole colpire la resistenza di tutto un popolo che non si vuole arrendere.
E infatti il comunicato si conclude con un appello a “tutte le donne giovani affinché si uniscano alle ypg, a prendere il proprio posto in prima linea”. L’unico modo, per quanto duro, difficile, pericoloso per “proteggere la nostra terra e la nostra dignità”.
Intanto, come nel caso citato all’inizio, sono migliaia i curdi che – scacciati nel 2018 da Afrin e rifugiati a Tell Rifaat (Shahba) nella campagne di Aleppo – sono nuovamente costretti a fuggire, in pieno inverno, di fronte alle bande degli ascari di Erdogan.
Anche se finora con scarsi risultati, gli esponenti curdi vanno esortando la comunità internazionale a istituire corridoi sicuri per la popolazione assediata a Tal Rifat (a seguito delle ripetute segnalazioni di rastrellamenti operati dai mercenari filo-turchi sulle strade che escono dalla città). Decine di famiglie qui giunte da Afrin sono ora intrappolate a Tall Rifat in attesa di una via d’uscita, dormendo all’addiaccio con temperature gelide.
Mentre le milizie dell’Esercito nazionale siriano (sna) vanno compiendo decine di arresti tra questi sfollati. E già si parla di esecuzioni di civili in strada. Del resto appare evidente che i metodi utilizzati dallo sna), all’assalto della regione del nord-est della Siria, sono stati quelli prevedibili.
Dal comandante delle fds (Forze democratiche siriane – Hêzên Sûriya Demokratîk) Mazloum Abdi, l’assicurazione di voler “garantire l’evacuazione in sicurezza degli sfollati interni di Afrin verso il nord-est” mentre “continua la resistenza nei quartieri curdi di Aleppo per proteggere il nostro popolo”. Fermo restando, concludeva Mazloum Abdi, che “il sostegno internazionale è cruciale per garantire la sicurezza di queste popolazioni vulnerabili”.
Le forze in campo
Volendo tentare una breve sintesi (provvisoria dato che tutto è in movimento, non solo in Siria ma nell’intero Medio Oriente), possiamo individuare due blocchi fondamentali, entrambi islamisti se pur a diverso titolo, nelle truppe e milizie all’attacco dei territori del nord e dell’est della Siria.
Il primo è quello riunito intorno a Hayat Tahrir al-Sham (ex al-Nusra, ramo siriano di Al-Qaeda); l’altro, quello delle truppe ausiliarie (“cammellate”) di Ankara denominato Esercito nazionale siriano.
Mentre il primo procede spedito verso sud, quindi verso Damasco, con lo scopo dichiarato di abbattere il regime siriano, il secondo – sna, una coalizione posta direttamente sotto il comando turco – sembra indirizzarsi principalmente contro i curdi. Le sue operazioni hanno interessato soprattutto la regione di Shebah/Tall Rifaat impadronendosi di vaste aree agricole, di alcuni villaggi e investendo i campi profughi che ospitano decine di migliaia di curdi fuggiti da Afrin nel 2018. Inoltre avrebbero bloccato, reciso il corridoio umanitario aperto dai curdi.
Pur avendo perso terreno in quel di Sheba/Tall Rifaat, le Forze Democratiche Siriane avrebbero riconquistato una vasta area sulla riva ovest dell’Eufrate. Così come al momento conservano il controllo dei quartieri curdi e di una parte di quelli periferici nella parte nord-est di Aleppo. Ma per ora rimangono isolati rispetto al Rojava verso cui tentano di aprire un corridoio umanitario.
Tuttavia sulla situazione siriana in generale aleggia anche un’ipotesi ancora più inquietante, quella di un accordo tra Damasco e Ankara, sotto la supervisione russa e il sogghigno di Israele. Chiudere definitivamente il “corridoio logistico” per le milizie sciite (libanesi e iraniane) e nel contempo tentare risolvere sbrigativamente la questione curda. Azzerando la contagiosa (e pericolosa non solo per la Turchia) esperienza del Rojava, del confederalismo democratico, con i curdi in diaspora o sottomessi.
Mentre “le stelle (e le strisce) stanno a guardare…”.