In Pakistan la repressione nei confronti dei beluci e di altre minoranze (azara, cristiani, eccetera) si coniuga con lo sfruttamento intensivo delle risorse, minerarie in primis, nella quasi generale indifferenza dell’opinione pubblica internazionale (a quando una campagna di boicottaggio almeno del turismo?)
Dopo aver seguito, se pur da lontano e distrattamente (ci son cose più rilevanti e urgenti di cui occuparsi) l’ennesima messinscena a base di montagne e alpinismo, ossia la retorica, invasiva celebrazione per l’anniversario della “conquista” italica del k2 (luglio 1954), mi sia consentito di fornire qualche ulteriore notizia sulla situazione del Pakistan. Soprattutto in materia di violazione sistematica dei diritti umani. E in particolare sui Beluci, popolo minorizzato (non minoranza).
Tornando fatalmente ad affrontare la dibattuta questione dell’alpinismo – sempre più turistico e consumista – come prosecuzione del colonialismo. Argomento di cui mi ero già, fin troppo forse, occupato. 1)
Com’era prevedibile anche nelle recenti celebrazioni non si trova quasi nessun accenno, e comunque nessuna messa in discussione, al ruolo di Impregilo (vedi la diga di Tarbela sull’Indo in cambio dei permessi) che da allora si è aggiudicata in Pakistan (e non solo ovviamente) contratti miliardari. E nemmeno sui metodi usati con gli alpinisti pakistani, percepiti come di rango inferiore, semplici portatori. Anche se in realtà su quel terreno, a casa loro, erano molto più abili, esperti e resistenti degli occidentali (Amir Mahdi era l’uomo che sul Nanga Parbat aveva riportato a valle Hermann Buhl).
Resta solo l’ormai trita e ritrita faccenda del contenzioso tra Bonatti – che si considerava abbandonato di notte a 8100 metri senza tenda con 40 sotto zero – e i due “conquistatori”, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Direi che ormai basta, non se ne può più. Anche perché chi ci ha rimesso veramente, reso invalido dalle numerose amputazioni per congelamento, era stato sicuramente l’hunza Amir Mahdi. E qui qualche responsabilità (pare l’avesse spinto a continuare anche quando l’hunza avrebbe voluto ridiscendere) forse ce l’aveva anche il peraltro ottimo (se confrontato ad altri alpinisti del secolo scorso) Walter.
Quanto ai disgraziati beluci, va evidenziato che oltre il 60%, diviso tra sulaymani e makrani, si trova in Pakistan. Un altro 25% vive in Iran e una piccola minoranza in Afghanistan (oltre a quelli della diaspora). Popolo originariamente di montagna, per cui ha potuto conservare una – per quanto precaria – propria identità, in maggioranza di religione sunnita ma con una consistente minoranza sciita (qualcosa del genere accade ai curdi in Iran). Parlano una lingua iranica; ma talvolta, forse erroneamente, vengono considerate affini ai beluci anche le tribù brahui (soprattutto in Pakistan) che però parlano una lingua dravidica.

Ma i desaparecidos non fanno notizia

Risale al novembre dell’anno scorso l’uccisione di Balaach Mola Bakhsh, in quel momento nelle mani del Counter Terrorism Department (ctd) del Pakistan. In precedenza era semplicemente scomparso (forzatamente desaparecido) così come è capitato a un gran numero di baloch, oppositori veri o presunti. Sia, come nel suo caso, a Kech che in altre località del Belucistan. Ma almeno stavolta, dopo che era stato assassinato, si è assistito a una indignata sollevazione. Su iniziativa di Mahrang Baloch (che si definisce “femminista e nazionalista”) si costituiva il Baloch Yakjehti Committee (byc, comitato per l’unità del Belucistan) formato in gran parte da parenti dei desaparecidos. Mettendosi in marcia attraverso il Paese fino a Islamabad.
Qui si erano fatalmente scontrati con la polizia. Dopo una nutrita serie di arresti, i manifestanti venivano di fatto confinati per circa un mese al pen Club (circolo nazionale della stampa). Nonostante i tentativi del governo – e della stampa allineata – di screditare, delegittimare tale mobilitazione, a conti fatti si può dire che essa ha avuto grande risonanza e partecipazione.
Nel frattempo, il 2 agosto, si è conclusa per decisione del byc la protesta a Gwadar, città portuale sotto controllo cinese. Protesta che in luglio era costata la vita ad almeno un soldato durante gli scontri tra esercito e manifestanti.
Le evidenti complicità dello Stato pakistano con il capitalismo internazionale implicano lo sfruttamento intensivo, sistematico del Belucistan. In particolare delle sue risorse minerarie, senza che questo comporti benefici per la popolazione autoctona. Emblematici in tal senso i megaprogetti del corridoio economico Cina-Pakistan, i quali hanno comportato sia l’ulteriore militarizzazione del territorio sia l’allontanamento forzato (deportazione?) per gli abitanti.
Storicamente uno dei periodi peggiori per la popolazione del Belucistan ha coinciso con la dittatura di Pervez Musharraf (1999-2008), con una serie infinita di uccisioni, sequestri e con la legittimazione di fatto della tortura (si potrebbe parlare di “guerra sporca” in stile sudamericano). Tra le vittime – che si contavano a migliaia – soprattutto scrittori, insegnanti, medici, studenti e ovviamente attivisti e militanti dell’opposizione.
Se pur con metodi meno brutali (ma solo relativamente, si son visti anche recentemente casi di desaparecidos e di vittime della tortura) i governi successivi mantennero il loro tallone di ferro ben calcato sui beluci, reprimendone e soffocando le legittime aspirazioni all’autodeterminazione.
A tutto questo i beluci risposero organizzandosi in vario modo. Dagli estremisti del Baloch Liberation Army (bla) al bso (l’organizzazione degli studenti beluci). Oltre ovviamente al già citato byc. Organizzazioni che in genere si collocano a sinistra, slegate dalla tradizionale leadership dei possidenti e proprietari terrieri (spesso collaborazionisti) e maggiormente radicate tra i lavoratori e le donne.
Criticando nel contempo con forza la sinistra (vera o presunta) pakistana per il suo sostanziale sostegno ai governi del Paese e per la mancanza di solidarietà nei confronti dei beluci. E con uno sguardo di interesse e simpatia per quanto i curdi hanno saputo realizzare in Rojava.

N O T E

1) Vedi i seguenti articoli di “Etnie”: