Lago Turkana… questo incredibile e stupefacente bacino in mezzo al deserto chiamato Mare di Giada per l’eccezionale fenomeno dei miraggi, che attraversando il suo arido territorio è facile percepire, si estende per circa 300 km fino al confine con l’Etiopia, circondato da coni vulcanici. Attraversando l’adiacente Chalbi Desert, con paesaggi multiformi alternati a piccole dune e palme, è infatti facile avvistare questi fenomeni ottici nelle ore più calde, dovuti alla crescita della densità dell’aria a mano a mano che ci si allontana dal suolo.
Noto durante il periodo coloniale come Lago Rodolfo, il Turkana era un tempo collegato al sistema idrografico del Nilo, mentre oggi ha come unico immissario il fiume Omo che scende dagli altipiani etiopici. Non avendo emissari, è un lago di natura endoreica: in altre parole, il livello delle sue acque è soggetto alle precipitazioni e al grado di evaporazione, come il Lago Abbé a Djibouti.
Il Turkana è unico nel suo genere; è il più alcalino e il più grande lago permanente in aree desertiche al mondo, dopo il Lago Van, il Mar Caspio e Issyk-Kul. Sulla sua sponda centro-settentrionale, si erge come un’isola la caldera del Nabiyotum Crater; è quanto rimane di un vulcano collassato, traccia dell’attività geologica dell’African East Rift, quando nella crosta terrestre si verificò una spaccatura a causa della separazione di due placche tettoniche, spingendo l’Africa orientale a separarsi verso nord-est dal resto dell’Africa. Al suo interno si creò la Great Rift Valley, localmente nota come Kenyan Rift Valley, da molti considerata la culla dell’umanità.
Le poche distese erbose lungo le sue sponde mantengono vivo un delicato ecosistema di erbivori e predatori. Il South Island National Park, entro il perimetro meridionale del Lago Turkana, costituisce un’ottima opportunità di birdwatching, con fenicotteri, pellicani e molti uccelli acquatici, oltre agli endemici coccodrilli del Nilo.
Raggiungere la parte settentrionale del Kenya può diventare un’occasione preziosa per esplorare questa parte dell’Africa lungo la Great Rift Valley, poco nota al turismo e ai viaggiatori, coniugando safari animali, splendidi paesaggi a savana e tratti desertici dai panorami mozzafiato; e, se il periodo è quello giusto, fare la conoscenza diretta delle varie etnie che partecipano al Lake Turkana Cultural Festival sulle sponde lacustri, a Loiyangalani. Questa piccola località, il cui nome significa “luogo dai molti alberi” in lingua samburu, ospita tra le altre la tribù quasi estinta degli el molo.
Gli abitanti del villaggio si dedicano principalmente alla pesca, al turismo e alla ricerca dell’oro. Nel giugno 2008, i Musei Nazionali del Kenya hanno inaugurato il Desert Museum, il primo e unico di Loiyangalani, che rispecchia le culture e gli stili di vita di otto comunità residenti in quest’area. Sono esposti oggetti d’artigianato appartenenti a tribù diverse e rappresentati anche piante e animali endemici del Nord Kenya.
Nello stesso anno, le 14 comunità etniche residenti sulle sponde orientali del lago Turkana nella contea di Marsabit hanno dato vita al primo festival culturale del Lago Turkana, una manifestazione di 2-3 giorni che costituisce un’autentica espressione dell’anima africana. Diventato un evento annuale, si celebra tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, seguendo il calendario lunare, in coincidenza con la luna piena e dopo il Ramadhan.
L’evento è caratterizzato da performances legate alle tradizioni culturali delle 14 comunità etniche, dove si possono conoscere le loro attività quotidiane, le arti e i mestieri, le danze e la musica, vivendo un’esperienza unica e affascinante. A prima vista può sembrare un programma di intrattenimento culturale “leggero”, ma l’evento ha una ragione più profonda: il festival offre a tutte le comunità della contea di Marsabit un’opportunità per sviluppare l’interazione culturale, l’armonia, la coesione, l’integrazione, la cooperazione e il commercio. L’obiettivo principale è stato e continua a essere quello di promuovere la pace e la riconciliazione tra i popoli.
Le comunità partecipanti vivono presso il Lago Turkana, nel Chalbi Desert, sul Monte Marsabit e nei Moyale Escarpments. Eccole:
- Gabbra nomadi, allevatori di cammelli, residenti nella parte nord-occidentale della contea lungo la sponda orientale del Lago Turkana.
- Borana grande comunità di allevatori di bovini, vive tra le aree di Moyale, Isiolo e il Monte Marsabit. La credenza religiosa di Borana e Gabbra è strettamente collegata alle loro mandrie. Tra gli appartenenti a questa comunità, dove gli animali rappresentano molto più che cibo, sono frequenti i sacrifici rituali per la fertilità, la salute e la benevolenza degli spiriti.
- El molo gruppo etnico quasi estinto che vive nella baia di El-Molo, sulle rive del Lago Turkana.
- Samburu sono genti nilotiche, cugini dei maasai e come loro pastori semi-nomadi di zebù, pecore, capre e cammelli, e oggi anche cacciatori. Il nome samburu è di origine masai e deriva dalla parola samburr, una borsa di pelle che i pastori portano sempre con loro. I samburu si autodefiniscono lokop (o loikop), termine che potrebbe significare “padroni della terra”.
- Rendille confinanti dei samburu, sono i “detentori del bastone di Dio”, comunità cushita che vive nel deserto di Kaisut. Pur non essendo musulmani, parlano un linguaggio cushitico dell’est imparentato con il somalo, e sono cultori di maledizioni e riti, ancor oggi tramandati e seguiti.
- Turkana vivono intorno all’omonimo lago e nella valle dell’Omo.
- Dasanech una delle tribù più antiche dell’Africa, i dasanech sono noti anche come i cacciatori notturni di coccodrilli.
- Konso gruppo cushita diffuso in tutta la contea di Marsabit.
- Sakuye sono il gruppo più piccolo di lingua oromo. Sono seminomadi e condividono tradizioni con rendille, gabbra e somali.
- Waata conosciuti anche come sanye, sono una comunità di cacciatori-raccoglitori di grande tradizione culturale. Si trovano anche nella foresta di Arabuko Sokode.
- Burji hanno introdotto l’agricoltura tra le comunità pastorali della contea di Marsabit. Provenienti dall’Etiopia meridionale, sono una delle numerose comunità di lingua oromo.
- Gurreh gruppo etnico islamizzato dedito sia all’agricoltura sia alla pastorizia.
- Somali islamizzati, sono il più grande gruppo cushita, ma in minoranza nella contea di Marsabit.
- Pokot comunità di tipo pastorale. Ogni pokot, dopo l’iniziazione, è conosciuto con il nome del suo bue preferito. Con questo animale, scelto durante il processo di crescita, il pokot avrà sempre un rapporto di vera amicizia.
Un costante tratto in comune tra questi gruppi è la costruzione delle case, abitualmente chiamate manyatta. Hanno uno stile architettonico modulare che segue alcune regole fondamentali per mantenere al sicuro le famiglie e il loro bestiame. Al centro sono custoditi gli animali più giovani o di piccola stazza – capre, agnelli, vitellini – protetti da un recinto di frasche e spine. Attorno sorge un certo numero di piccole case-capanne, a loro volte recintate da una grande parete perimetrale di spine (con un ramo a sprangare l’ingresso di notte) per delimitare il villaggio, al cui interno sono custoditi gli altri animali di stazza più grande, come bovini, cammelli e asini.
Le manyatta sono costruite interamente dalle donne. Variano per forma, dimensione ed elementi costruttivi. Gli elementi più comuni sono ramoscelli, sterco di vacca, canne e terra.
Visitando queste comunità si ha modo di ammirare la “moda” locale, soprattutto femminile, con bellissimi costumi e gioielli. Assai utilizzate le perline, dai colori brillanti per richiamare l’attenzione, come il giallo, il rosso, il verde, il bianco, il blu. Le perline variano anche di forma (rotonda, ovale, rettangolare) per comporre i favolosi monili da collo, mano e capelli, sia maschili sia femminili. Alcuni abiti delle donne sono ricavati dalla pelle di capra o di mucca, con tinte dal nero al marrone.
I gruppi locali amano ballare, e durante i festeggiamenti si organizzano spesso danze con tipologie legate a eventi specifici della vita. Consistono principalmente nel battere le mani, battere i piedi per terra e compiere alcuni movimenti di spalle molto energici, mentre i samburu ostentantano in particolare il loro giocoso jumping (un salto in alto a mo’ di molla), ereditato dai cugini masai.
In un viaggio alla scoperta del Kenya settentrionale, immersi in una miriade di vivaci culture tra i tesori nascosti del Mare di Giada, il Lake Turkana Cultural Festival è quindi un evento da non mancare per la sua unicità e lo spirito di pace tra queste affascinanti etnie africane. Ma, antropologia a parte, la Kenyan Rift Valley è un vasto territorio dove la natura regna sovrana, con possibilità di entusiamanti safari fotografici nei numerosi parchi e riserve.
Allontanandosi da Nairobi verso nord, si attraversa il Kenya Equator Sign, la linea di passaggio tra l’emisfero meridionale e quello settentrionale, che porta il viaggiatore nel Northern Frontier District (NDF): siamo al cospetto delle suggestive sagome del Mt. Kenya, che con 5199 metri è la più alta montagna del Kenya e la seconda dell’Africa dopo il Kilimangiaro. Da qui si entra nella Samburu National Reserve, confinante con altre due aree protette, la Riserva di Buffalo Springs e la Riserva di Shaba. Complessivamente queste tre riserve si estendono per circa 250 kmq e sono caratterizzate da un ambiente di boscaglia semi-arida, in prevalenza acacie, e da foresta rivierasca, ricca di palme dum. Suoi animali endemici sono i cosiddetti samburu special five: la giraffa reticolata, la rara zebra di Grévy, lo struzzo somalo, l’orice beisa e l’antilope giraffa o gerenuk; senza contare le specie in via d’estinzione come il licaone e la tartaruga pancake.
Con divertenti game drives è facile avvistare anche leoni, elefanti, antilopi dik dik, cobo, ippopotami, coccodrilli e il tipico horn billedstork, un uccello ritenuto appartenente alla famiglia delle cicogne con il tipico becco a scarpa, insieme a varietà di altri volatili.
Puntando ancora verso nord lungo l’autostrada Trans-Africana, tra suggestivi affioramenti rocciosi e attraversando la collina sacra alla tribù samburu, appare nella sua maestosità Mt. Ololokwe, conosciuto dai nativi locali come Old Donyo Sabache.
Attraversando il Milgis Lugga, l’enorme fiume stagionale che scorre tra la catena del Matthews Range e le Ndoto Mountains rendendo quasi spettrale l’ecosistema naturale, si torna sulla strada asfaltata che conduce a Marsabit. In prossimità di Sud Horr, una valle di acacia, sotto i sentieri massicci di Ol Donyo Nyiro (2752 m) e Ol Donyo Mara (2066 m), è delizioso sostare e ammirare il suo particolare paesaggio roccioso. Al margine della piatta prateria, una fermata al Malasso Viewpoint sul Losoolo Escarpment consente di ritrovarsi di fronte a uno dei più notevoli e affascinanti panorami sulla Great Rift Valley.
Intorno al lago Baringo, un parco piccolo ma delizioso sulle cui rive affiora il papiro e cresce una ben sviluppata foresta di acacia. Un giro in barca consente facili avvistamenti di ippopotami, coccodrilli, lucertole monitor e numerosi uccelli. Sulle sponde si possono osservare i pescatori njemps, originariamente dediti all’allevamento di bestiame e poi adattati alla vita del lago. Seduti a cavalcioni della loro tipica canoa ambach, fatta di papiro, vanno a pesca di tilapia, il pesce locale.
Il Nakuru Lake NP ha soli 188 kmq di estensione, ma è interessante per il suo habitat che include erba boschiva, euphorbia, foreste di acacia e scogliere rocciose, nonché per l’osservazione di animali endemici: babbuini, irachi di roccia, rinoceronti bianchi e neri, ippopotami e stormi di pellicani. Posto a 1754 m sopra il livello del mare, le sue acque sono caratterizzate da un alto contenuto di soda. L’origine del nome Nakuru deriva dalla lingua masai e ha il significato di “polvere” o “luogo polveroso”, usato originariamente per la città omonima. Il parco del Lago Nakuru, tra i migliori parchi nazionali del Kenia, fu essenzialmente costituito per proteggere la numerosissima colonia di fenicotteri rosa che qui vivevano cibandosi di microcrostacei e alghe, e il cui numero varia in base alla quantità di cibo, correlato alla salinità dell’acqua.
Giuseppe Russo è un viaggiatore, fotografo, blogger e reporter con oltre 20 anni di esperienze e collaborazioni di viaggio per il mondo come tour leader. I suoi reportage sono pubblicati, oltre che su “Etnie”, anche sul suo blog Zoom, Andata & Ritorno. L’autore ha in progetto un viaggio in Kenya nel giugno 2018: per partecipare, informazioni presso l’operatore VIAGGI TRIBALI a questo indirizzo.